
Da qualche giorno ho un dolore articolare che non mi dà respiro.
Parte dal centro del collo e scende lungo il braccio sinistro. Si sofferma, con accanimento crudele, sul gomito, per poi arrivare, più benevolo, fino alla mano. Lo sento come una presenza viva. E' un divoratore che procede incessante. Un sinistro compagno.Un parassita che, beffardo, sembra aver trovato la sua vittima. Sono andata dal medico e mi ha superficialmente consegnato la diagnosi, senza neppure alzarsi dalla scrivania: è periartrite. In fase acuta. Ho letto che è una malattia tipica dei quarantenni, che è psicosomatica, che non passa tanto facilmente e che è refrattaria alla terapia farmacologica...Ho scoperto che è poco interessante per gli altri, mentre a me sta invadendo la vita. Mi sveglio presto e lei è già lì, impegnata a mordere fin dal mattino; prosegue tutta la giornata, con pause brevi e acuzie repentine per poi raggiungere il massimo della sua attività durante la notte. Come un fantasma malvagio e spietato.
Nonostante questo malessere continuo, le mie giornate procedono secondo una quotidianità prestabilita, incline anche all'accoglienza di cambiamenti che irrompono gioiosi o odiosi; sono zeppe di impegni e di scadenze, di compleanni e qualche lacrima: lavoro, esco, faccio la spesa, sgrido e coccolo i miei figli, amo e mi arrabbio e rido. Come se lui non ci fosse. Ma mi capita di pensare a com'era prima, prima del dolore. Rifletto su come stavo bene quando potevo contare su un braccio che non faceva male. E sento con un pò di nostalgia che è sempre la stessa identica storia, che l'uomo non riesce a intendere, sebbene tanto semplice da apparire banale. E' come se, vittime di un sortilegio malvagio, ci fosse concesso di apprezzare a pieno il valore di ciò che abbiamo proprio nel momento in cui questo viene a mancare. Come se la scoperta dell'essenza fosse possibile solo nell'assenza, quindi irraggiungibile. Mi ripeto che, quando starò bene di nuovo, voglio svegliarmi al mattino e sorridere al mio corpo e gioire del mio star bene. Voglio sentire, nel mio braccio, il benessere dell'assenza di dolore, apprezzare il funzionamento delle mie gambe, dei miei occhi, delle orecchie e del cuore. Ma è solo negli intenti e già so, nel progettare, che non lo farò mai...