Hirschman scrive che coloro che vivono un disordine crescente hanno a disposizione due reazioni attive, che sono forse anche due rimedi: l'uscita, cioè la fuga, o la voce, cioè il tentativo di rimediare e magari migliorare la relazione sforzandosi di comunicare le proprie rimostranze, la propria disapprovazione e le proposte di miglioramento. Credo di aver sempre prediletto la voce, per temperamento, educazione, senso di responsabilità e una buona dose di super-io, alimentato da una madre che, avendo mille qualità, ha la pesante scomodità di non meritare delusioni. Disapprovo l'uscita, perchè scappare da una situazione faticosa è da vili. Esce chi non è in grado di prendersi delle responsabilità, chi è egoista e non si cura di coloro che non hanno il privilegio di scegliere e devono, nonostante tutto, restare. Esce chi è debole e incapace di lottare. Esce l'individualista. L'altruista usa la voce. Fino a perderla.
Ma ci sono situazioni in cui usare la voce e continuare ad usarla non porta ad alcun risultato, nonostante le buone intenzioni. Sono circostanze in cui si assiste al fraintendimento di essere considerati saccenti o giudicanti, maestrine, perfettine o arroganti. Di avere la verità in tasca. Di essere tanto forti da apparire insensibili.
Ci sono circostanze in cui il dolore e altri sentimenti che guidano la voce non vengono presi in nessuna considerazione dalle persone verso cui è diretta; anzi, vengono interpretati in maniera scorretta o, per lo più, sminuiti.
In questi momenti si deve prendere atto del fallimento della voce e ricorrere all'uscita. Improrogabile. Senza ritorno. Come soluzione alla propria sopravvivenza. Correndo il rischio di essere considerati menefreghisti e intransigenti, oltre che inefficaci e buoni a nulla. Ricevendo l'amara conferma che le trame degli affetti sono tenute insieme da fili di cui non abbiamo conoscenza e che quanto più il disegno che mostra lacera il cuore per la sua bellezza, tanto più nasconde milioni di intrecci.
FRANCESCO MUSANTE
La materia dei libri è costituita dalle sottigliezze della vita.
venerdì 13 agosto 2010
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5 commenti:
Come ben sai cara Wilma, è veramente difficile affrontare argomenti complessi, come la "relazione" tra le persone, e pensare di avere risposte chiare alle tante domande, che ci mandano spesso in crisi, facendoci poi dubitare di alcune nostre scelte e valutazioni.
"Uscita o Voce," sembra un quesito semplice, e invece l'una o l'altra possibilità, includono comunque fatica e a volte una violenza a sè stessi.
La personale esperienza mi allinea alle tue considerazioni finali sull'impiego della Voce, solo, non è la Voce che fallisce, ma sono le DIVERSE sensibilità che la rendono a volte inutile.
Perchè ciò che è bianco per l'uno, non lo sarà mai per un altro: Ognuno possiede una personale scala cromatica a cui difficilmente rinuncia.
Cosa fare allora, Uscita?
Onestamente, non ho una risposta assoluta, l'istinto che è in noi, ci dirà forse cosa fare...
E la possibilità di sbagliare, è comunque un rischio che dobbiamo assumerci.
Tanta simpatia dal tuo amico Gianni.
Non credo che la scelta tra uscita cioè l'interrompere una situazione che magari ci è dolorosa o semplicemente fastidiosa e che non consente miglioramenti, e la voce, ovvero il tentativo di mediare, di rinegoziare, di ristrutturare una situazione compromessa ma che presenta ancora possibilità di recupero, dipenda esclusivamente dal temperamento di una persona. Nè sono convinta che scegliere la voce sia giusto, altruista, proficuo, mentre l'uscita sia da vigliacchi, menefreghisti, privi di senso di rsponsabilità. Abbiamo, del resto, diverse e molteplici responsabilità. Impossibile conciliarle tutte. Un tempo sì ho creduto di DOVERE sempre tentaredi trovare un accordo, di spiegando, parlando, rispiegando ancora e ancora. Oggi non più. Oggi credo che dipenda dalle situazioni in cui si è coinvolti. Ce ne sono alcune per cui l'uscita è la soluzione migliore, quella più salutare, quella meno dolorosa. E' una questione economica, di costi e benefici. Se i costi sono troppo alti è bene chiudere. Del resto non si può pensare di essere così indispensabili! Anche l'uscita, io la chiamerei rottura, è una scelta coraggiosa. Per alcuni la più difficile, che arriva dopo molti tentativi di ricostruire. Falliti, dolorosi, faticosi.
Nessun senso di colpa, allora!
Non è proprio il caso...
A volte, vorrei davvero una via di fuga, di quelle silenziose, di quelle che ti fanno apparire o tremendamente saggia o totalmente deficiente, per non discutere di cose logiche per me, eppure di una complicazione mostruosa per altri. Scappare e lasciare che il silenzio faccia il suo commento..a volte è la cosa migliore
Amico Gianni, grazie!
Miranda, sul senso di colpa ci sto lavorando ma tu sai che il nostro Super-Io è tenace! Le tue parole son sempre molto rassicuranti per me...
Kyra, spero che le persone a cui è diretta l'uscita siano in grado di comprendere il commento del silenzio. Ti abbraccio.
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