FRANCESCO MUSANTE

FRANCESCO MUSANTE
UNA ROSA LA LUNA E LA NOTTE INTERA PER PENSARE A TE

La materia dei libri è costituita dalle sottigliezze della vita.

La materia dei libri è costituita dalle sottigliezze della vita.
I bambini non ricorderanno se la casa era lustra e pulita ma se leggevi loro le favole. Betty Hinman

martedì 29 settembre 2009

Dedicato a Miranda..

Questa volta ci siamo davvero... Domani è un giorno speciale.. La prima delle tre a varcare la soglia dei fantastici... 40!!! A Miranda .. dai banchi di scuola, il tragitto in pulman, Dante e la Divina Commedia, il latino, le lettere, i diari, le poesie, il tailleur, le uscite allo "stacco", il biondino,"ma vi baciavite?" le calze a rete di Madonna, la discoteca di sera, i tacchi, il quaderno delle vignette, il viaggio a Populonia, il fine settimana a Pieve Pelago, le risate, le lacrime, le lauree, le spose, i testimoni, i nostri bimbi e l'allattamento condiviso, Roma, la scuola dietro la cattedra, ed infine..la CASA!! BUON COMPLEANNO MIRANDA!!! Con tutto l'affetto..le tue Amiche. Samantha&Wilma

lunedì 21 settembre 2009

IL SIGNIFICATO DELLE COSE...

Oggi all'Adolescente hanno rubato la bici nuova, ricevuta solo due mesi fa. Realizzare il fatto, dargli un nome, non è stato facile. C'è stata l'incertezza, lo stupore, l'incredulità, poi la presa di coscienza, il senso di impotenza, la rabbia. Gli oggetti, si sa, contengono aspetti che vanno oltre la materialità. Racchiudono sogni, emozioni, ricordi. Conferiscono uno status. L'Adolescente, anarchico e desideroso di libertà, in sella alla sua bici intendeva dichiarare al mondo di essere finalmente autonomo, libero di muoversi, padrone del suo tempo, svincolato da noi genitori. Allo stesso tempo la scelta della bici come mezzo di trasporto rappresentava per lui la ribellione al conformismo della massa dei coetanei che, al compimento dei quattordici anni, aspira, sposmodica, allo scooter. La bici era la sua rivoluzione. La dimostrazione di una diversità speciale, pensata, ostentata. Il furto è stato qualcosa di più dell'essere privato di un oggetto. Mi ha confidato, splendido nella sua ingenuità, di aver preso coscienza, per la prima volta, della delinquenza, di un mondo sotteraneo che agisce contro gli altri, della devianza e della miseria umana.
Essere privato di un oggetto ha arricchito lui di riflessioni, conoscenze, esperienze, ha riportato me a riflettere sul significato delle "cose" che ci circondano, al di là di ogni considerazione anti-materialista. Ho ripensato al comò dei primi del novecento che, restaurato sapientemente, fa bella mostra di sè nella nostra camera da letto: è appartenuto ai nonni di Fred, regalo di nozze dei loro genitori. Quante volte il profumo che sprigiona il legno mi ha fatto ritrovare la semplicità di gesti lontani: ho visto la nonna i primi giorni del matrimonio, a sistemare la biancheria o a sceglierla, civettuola, per mostrarsi al marito. Ho visto lo stipendio del nonno nascosto nell'ultimo cassetto, in fondo, come si usava all'epoca. Chissà se quel comò è stato scelto dagli sposi o è stato motivo di litigio tra loro. Chissà se hanno mai pensato che sarebbe sopravvisuto a loro. Come l'assurdo portachiavi di mio padre, il suo profumo e i suoi svariati pettinini. Come la casa che lui ha costruito, circondata da un muro di cinta terminato mentre la malattia gli divorava la colonna vertebrale. Quel muro non contiene mattoni e calce ma tenacia e forza, speranza e orgoglio. E' un invito a non arrendersi, a non lasciarsi sopraffare. Non è solo materia. E' capacità di evocare, di incitare, di dare conforto. Un meraviglioso esempio per i miei figli.

sabato 19 settembre 2009

DEDICATO A WILMA..

ALLA NOSTRA SPLENDIDA AMICA: ALLA SOGLIA DEI FATIDICI 40..PIU' STREPITOSA CHE MAI.. BUON COMPLEANNO!!! Con affetto, le tue meravigliose amiche, Samantha e Miranda. PS: Samantha-in vena-di-super-aggettivi!! ; )

martedì 15 settembre 2009

Maccaroni...io vi distruggo!

Ho accolto con una certa insofferenza la proposta da parte di esponenti della Lega di insegnare il dialetto a scuola. Insofferenza, mi accorgo ora, dovuta non tanto alla questione in sè, importante e complessa, quanto all'atteggiamento superficiale e supponente di chi l'ha proposta, ai consueti toni arroganti da coatti di borgata, al fatto che sia piovuta così, non meditata, dopo una sfilza enorme di castronerie estive, sparate a raffica, senza la minima riflessione o approfondimento: dalle gabbie salariali, all'esame di dialetto per gli insegnanti, dalle classi differenziali per alunni stranieri alle ronde padane. Una mole enorme di cazzate urlate a gran voce che rende impossibile, poi, prendere sul serio qualsiasi altra proposta, magari giusta o comunque legittima, arrivi da quella parte. Non nascondo, inoltre, il sospetto che la difesa dei dialetti da parte di quella parte politica non sia a salvaguardia delle differenze e particolarità locali che ci arricchiscono e ci contraddistinguono ma che sia il solito pretesto per discriminare, alzando barriere, segnando confini che servano ad individuare chi è da escludere e chi da tagliare fuori.
Credo invece che in quest'epoca della globalizzazione in cui l'omologazione include ed annulla le differenze e le specificità individuali la questione dei dialetti meritebbe un dibattito serio.
Chi, come me, è cresciuto a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta nella laboriosa ed operaia provincia italiana, ricorda senz'altro quanta fatica ha fatto per imparare a usare l'italiano al posto del dialetto, normalmente impiegato in famiglia. Perchè parlare in dialetto indicava, senz'ombra di dubbio, non tanto la provenienza territoriale quanto l'appartenenza ad una classe, al ceto sociale medio-basso, da cui si sperava di potersi affrancare, grazie alla scuola, a un titolo di studio e alla padronanza di un italiano corretto e privo di inflessioni dialettali. Allora mia madre, che l'italiano lo aveva imparato dalla televisione e sui fotoromanzi di Grand Hotel, mi raccomandava: parla ammodo e un ci di' così che poi ci scrivi a scuola e fai gli errori.
E così il dialetto ce lo siamo dovuti strappare di bocca, rinnegarlo e nasconderlo con vergogna. Ricordo con quanta fatica, noi figli di operai e contadini, cresciuti in campagna, cercavamo di dissimularlo, completando gli infiniti nelle frasi (non più fa', mangia' o di', ma fare, mangiare, dire), tentando, mediante innaturali contorsioni buccali, di pronunciare interamente i dittonghi (non più òmini, véni, fòri ma u-omini, vi-eni, fu-ori). E rammento lo sforzo nel tentare di nascondere certe inflessioni abituali e nel frenare la lingua perchè non scivolasse igniominosamente su alcuni suoni palatali o non si incagliasse, sorda, sui gutturali. Tentavamo, incerti, di imitare e riproporre la parlata spedita e disinvolta dei molti turisti milanesi che affollavano le nostre spiagge d'estate. Come ci pareva più sofisticata e di classe con quelle vocali aperte!
Siamo cresciuti a cavallo tra due mondi; in bilico tra la tradizione, con i suoi usi, i suoi modi di dire e le sue millenarie consuetudini e le esigenze incalzanti della modernità. Anche linguisticamente. Da una parte il dialetto, la lingua degli affetti, delle emozioni, del quotidiano, la lingua materna dei racconti familiari, delle storie dei nonni, dei giochi con gli amici, dello scherzo e dello sberleffo. Il dialetto che ci torna in bocca quando meno ce l'aspettiamo, capace di toccare corde profonde, insostituibile nel rappresentare e descrivere certe emozioni intraducibili in italiano e nel veicolare ricordi dell'infanzia e memorie familiari. Dall'altra l'italiano, la lingua da parlare e scrivere a scuola, la lingua dei libri, dei ceti sociali alti, dei "signori", come avrebbe detto mia nonna. L'italiano, il lasciapassare per approdare a una condizione sociale più prestigiosa, per ottenere una professione importante ed economicamente meglio retribuita, per conquistarsi, insomma, una vita migliore.
Abbiamo sacrificato il dialetto, la lingua della nostra infanzia, alla nostra ascesa sociale. Per questo abbiamo smesso di parlarlo e non lo abbiamo insegnato ai nostri figli. Rinnegato e dimenticato. E per questo morto.
E' possibile farlo rivivere insegnandolo a scuola? Io non credo. Penso che il dialetto, come la religione, vadano insegnati in famiglia, se uno lo ritiene importante. Imporre ai nostri bambini un dialetto che pochi oramai utilizzano, solo perchè lo parlavano i nostri nonni, è inutile e ridicolo. Un dialetto vive quando è parlato in una comunità, la rappresenta e ne veicola i messaggi fondamentali. E se è diffuso, condiviso e dunque vivo non c'è bisogno di insegnarlo a scuola. Eppure mi spiace che una parte così importante della nostra storia vada perduta per sempre. Perchè il dialetto, con quella capacità mirabile di cogliere le sfumature e di interpretare l'intensa e variegata gamma delle emozioni dell'animo umano, rappresenta una ricchezza che riusciamo a riconoscere solo ora, con colpevole ritardo. Cosa si può fare io non lo so. Vogliamo delegare anche questo, interamente, alla scuola? O siamo capaci di trovare altre soluzioni e di impegnarci, singolarmente e collettivamente?

lunedì 14 settembre 2009

Ancora sulle magnifiche giornate al mare...

Non lo volevo raccontare...Ma poi, la scuola che è iniziata, il temporale di stanotte, la pioggia torrenziale che ci ha tenuto compagnia tutto il giorno e la temperatura così fresca che il pensiero che solo ieri siamo stati in spiaggia fino al tramonto già sembra utopia, mi hanno convinto a raccontare tutta la scena e godere di queste splendide leggerezze che riempiono la nostra vita. Dunque, cominciamo dall'inizio: Era una giornata di sole pieno, fine agosto inizio settembre. Stavo facendo la mia consueta passeggiata giornaliera, a circa mezzo metro dalla riva. L'acqua del mare era ad altezza coscia, per la gioia di Marzia (impavida dietologa che battezza le azioni della vita con due soli verbi:"questo drena", "quello gonfia"). Mi facevano compagnia mia cugina e Animafragile; chiacchieravamo piacevolmente. A dirla tutta IO ero presa da un racconto che, nell'illustrarlo, mi impegnava entrambe le mani in un gesticolare tipicamente italiano. Ad un certo punto un ragazzo, poco distante dalla riva, comincia a chiamare:"Wilma!...Wilma!". Non lo sento, proseguo nel mio pseudo-monologo. Animafragile mi avverte:"Credo che ti stiano chiamando!". Mi giro un attimo, guardo il ragazzo e, frettolosa, sentenzio:"Non dice a me!" e proseguo imperterrita. Ma il ragazzo non molla:"Sto dicendo a te...Non mi saluti neppure??". Alzo gli occhiali da sole, guardo dritta il Tipo, sembro l'acida Signorina Rottenmaier:"Stai sbagliando persona, non ci conosciamo...". Ma lui è tenace:"Non ci conosciamo? Dopo la notte di passione che abbiamo trascorso insieme????". Animafragile racconta che, a quel punto, son letteralmente schizzata fuori dall'acqua e mi sono catapultata verso il mio sedicente amante passionale. L'ho messo finalmente a fuoco: era il sosia di Luca Ward.
Voce profonda che agita lo stomaco, che intende entrarti dentro e scombussolarti un pò. Tatuaggio, pelle scura, capello nero lungo sulle spalle, sorriso audace. A quel punto ero visibilmente in imbarazzo e le parole non uscivano, finchè lui, sincero, ha ammesso:"Non sei Wilma! Scusa...Ma anche tu ti chiami così?". Poi ha spiegato:"Ti ho scambiato per una ragazza che si chiama proprio come te. L'ho conosciuta mentre passeggiavo lungo il fiume. Vi assomigliate moltissimo...Sono stato tratto in inganno perchè anche tu, come lei, passeggi ogni giorno. Mi dispiaceva vedere che non mi salutavi neppure dopo le lunghe e piacevoli chiacchierate che abbiamo fatto...". Ho sorriso, gli ho detto di non preoccuparsi, che non era affatto un problema, l'ho salutato e ho fatto per proseguire la passeggiata. Mentre mi giravo mi ha richiamato:"Senti...Scusa per la stupida frase di poco fa. In realtà quella Wilma del fiume non l'ho mai neppure vista in costume...", "Comunque è stato un piacere...". Ma ero già lontana, acida e impegnata...Nei due giorni successivi il mio Super-Io non mi ha neppure mandato in spiaggia, implacabile mi ha inchiodato sui libri, mi ha richiamato al rigore della preparazione dell'esame...THE END!

giovedì 10 settembre 2009

Da più di tre settimane aspetto trepidamente l'idraulico. Parole e promesse vane le sue, forse abituali per lui nel trattare con i clienti: vengo lunedì...non ce l'ho fatta verrò la prossima settimana, scusami ho avuto un lavoro urgente ma sarò lì domani mattina....e via così. Lo aspetto con particolare ansia perchè senza il suo intervento non potrò trasferirmi. Speravo infatti di approfittare degli ultimi giorni di ferie per il trasloco. Lo speravo, inutilmente. Le ferie sono finite e l'idraulico non si è fatto vivo. Intanto scatoloni semipieni, borse, casse chiuse, giacciono un po' ovunque, impedendo il passaggio, alcune addirittura son già nel bagagliaio dell'auto, in attesa di esser portate a casa.
Oggi finalmente una bella sorpresa: da lontano, mentre sto andando verso casa, vedo sul mio tetto l'idraulico col suo portentoso apprendista, intenti a sistemare i pannelli solari. Mi avvicino, saluto e chiedo come va. L'idraulico mi informa che non va affatto bene. Oddio, penso subito, vuoi vedere che qualcosa nei pannelli solari non funziona a dovere? Infatti, continua lui dal tetto, gli si è rotta l'auto e quindi è a piedi. Per questo è potuto venire solamente ora. Mi spiace, replico solidale io, e chiedo se il lavoro sarà lungo. Lungo? Peggio! perchè si è fuso il motore e quindi l'auto è da tirare via. Per rifare il motore ci vogliono troppi soldi, e pensare che aveva solamente quattro anni, praticamente nuova... E continua così ad elencarmi i problemi della sua auto, parole inutili che rotolano dal tetto fino a me, indifferente, che in fondo è solo la seconda volta che lo vedo 'sto idraulico. Finita la tiritera, lo saluto, amabile, senza riuscire a sapere quanto ci metterà a terminare i lavori nè quindi quando potrò traslocare.
Andando via sorrido tra me e me ripensando al dialogo tra sordi che abbiamo avuto: io preoccupata solo per il mio trasloco, lui per la sua auto.
Ma allora è proprio vero? Siamo isole, ciascuno chiuso nel proprio mondo, assorto dai propri problemi, incapace di vedere e comprendere le esigenze altrui. Gli altri esistono solo in funzione di noi stessi.

mercoledì 9 settembre 2009

Sul dissenso...

Ognuno di noi, nella propria esistenza, partecipa a più istituzioni sociali, fa parte di una o più organizzazioni. Da queste emerge, viene modificata, si struttura, la nostra identità. Per poter sopravvivere abbiamo bisogno di adattarci ad ognuna di queste realtà. Sia in ambito lavorativo che in famiglia, persino con gli amici. Weich sostiene che, in ogni situazione, il soggetto tende a riconoscersi in relazione a ciò che vive, ai processi di interazione che stabilisce. Una stessa persona assume caratteri diversi in circostanze differenti: l'identità assunta nel posto di lavoro, per esempio, può differire da quella assunta nelle relazioni familiari. Ma ciò che commuove e sconcerta e allarga il cuore e ci fa sentire parte dell'oceano è considerare che, in questo percorso di adattamento, l'uomo preserva un sè che, prepotente, tende ad emergere. E' chiaro che, senza qualcuno a cui appartenere, non esiste sicurezza per il sè e, tuttavia, un inglobamento totale, un coinvolgimento assoluto con un'altra "unità sociale", implica una riduzione del sè. E' quindi lottando, opponendosi, facendo resistenza contro qualcosa, evitando un adattamento totale, che il nostro sè può emergere. Una rivolta interna è a volte essenziale per la salute psicologica, e può creare una forma particolare di felicità. Le tecniche che l'uomo ha utilizzato per preservare le riserve del sè dalle morse delle istituzioni sono molteplici, variegate, strategiche e fantasiose. Pensate a Robert Stroud, condannato all'ergastolo e all'isolamento nella prigione di Alcatraz. Quest'uomo, un giorno, in una situazione di abbruttimento totale, comincia a prendersi cura, per caso, di un uccellino. La sua passione, la sua dedizione, sono tali da trasformarlo in un famoso ornitologo, in grado di scrivere testi autorevoli sul comportamento degli uccelli. Non è assolutamente commovente e coinvolgente? Non ci obbliga ad alzarci dalle nostre comode poltrone? La voce del dissenso è dentro di noi, aspetta solo di poter trovare il coraggio per esprimersi. Non parlo di gesti eroici od eclatanti, parlo di espressione del sè: di quello più interno, fantasioso, passionale e unico, in grado di espandersi illimitato nei nostri pensieri, il solo capace di farci esplodere di gioia, di farci riscoprire il significato del nostro essere qua. Parlo anche, più semplicemente, di gesti, momenti, pensieri, rubati ad una qualsiasi delle istituzioni di cui facciamo parte: la nostra dose di libertà personale. Assolutamente senza prezzo.

lunedì 7 settembre 2009

Non amo molto Settembre..

Non amo molto Settembre..
Mi infastidisce l'aria fresca del mattino e il sole che saluta presto al tramonto. Trovo malinconica la spiaggia semideserta, gli ombrelloni dimezzati e l'acqua del mare chiara e trasparente ma fredda! Mi irrita vedere la mia pelle scura e splendidamente abbronzata scolorirsi piano piano! ( si sa, un po di colore rende più belli! ; ) Mi mette "ansia" dover provvedere all'iter burocratico della scuola per i miei figli: pagamenti dei vari bollettini, libri, pulmino, l'acquisto del materiale scolastico...Quest'anno poi il mio Ragazzo affronterà il primo anno delle Scuole Superiori e la Piccola la Scuola Media!! ANSIAAA! Mi innervosisce il pensiero di dover controllare ogni sera che abbiam tutto pronto:la tuta da ginnastica, le scarpe adatte, l'ombrello nello zaino, i compiti fatti..se poi il tempo (meteo e personale) non mi assiste, dover correre in lavanderia per asciugare i capi più urgenti. Senza dimenticare la normale routine: attività del pomeriggio, sport, compiti, merenda (tassativa!!) la cena, lava stira e via dicendo..
Quest'anno però l'avvento di Settembre è stato caratterizzato da una piacevole attesa...
Siamo riusciti a regalarci un fine settimana in un agriturismo, in compagnia di alcuni amici!! Era parecchio tempo che la mia Famiglia non si concedeva qualche giorno fuori casa! Tant' è che quando un paio di mesi fa abbiamo organizzato, il mio Ragazzo con lo stupore tipico dei bimbi (lui che bimbo non è più!!) mi ha domandato: "Ma è come una vacanza..?!".
Abbiamo trascorso tre splendidi giorni.. Nelle colline della Val di Cecina, in un podere magnificamente ristrutturato, accolti dal profumo della lavanda, abbiamo trovato ristoro. Assaporando la cucina toscana, aromi e sapori di un tempo.. Perdendoci nei tramonti tinti di rosso, seguendo il sole, fino a vederlo scomparire nelle colline.. Ascoltando il silenzio della sera e i versi degli animali al mattino.. La piscina, i giochi dei ragazzi, le loro risate e le nostre chiacchiere.. Ma ciò che più mi ha crogiolato è stato il paesaggio e il suo silenzio.
Siamo stati bene, siamo tornati a casa tutti più distesi, con il ricordo di questi giorni piacevolmente trascorsi. E così io, che solitamente in questo periodo sono più inquieta e nervosa, affronto le beghe di Settembre con il pensiero al paesaggio che ho lasciato, al sapore dei piatti gustati e al prezioso tempo trascorso con i miei Cari.. Vostra Rilassata Samantha
Oggi sono andata da mia madre nella Valle Incantata, lì dove sono cresciuta e presto tornerò ad abitare. Infatti, dopo che la lotta tra me ed i piccioni è stata vinta da questi ultimi ed ho dovuto dichiarare la resa incondizionata, non posso più stendere i panni sul mio terrazzo, caduto nelle mani di quei tremendi, irriducibili volatili scagazzatori.
Mentre stendevo un panno alla volta mia madre non mi ha perso di vista un istante. Su ogni panno un commento, su ogni gancetto una critica.
La tua lavatrice non lava bene, a me la biancheria viene più bianca! Forse non usi il detersivo giusto... Ma sei sicura di aver messo l'anticalcare? Sposta un po' quel gancetto... Li avevi scossi per bene prima di metterli nella cesta? Questo te lo passo con la varechina perchè ti è rimasto macchiato... Arrivando addirittura a contestare il colore dei ganci che usavo! Ma come? Hai messo un gancio bianco ed uno giallo su una maglia rossa? E usali dello stesso colore, no? Non essere sempre così sprecisa!
In realtà stendere è una delle poche incombenze domenstiche che so fare bene perchè, come ogni madre che lavora, so bene che un panno ben steso si aggiudica l'esonero dalla stiratura. Dunque mi chiedo quando tra poco abiterò a pochi metri da lei cosa dirà dei libri malamente impilati qua e là per tutta la casa, dei cassetti straripanti, delle mensole non spolverate, delle monete sparpagliate sui mobili, delle ciabatte dimenticate dove capita...?
Comunque non mi dovrei stupire di questo atteggiamento di mia madre perchè è sempre stata così. Passavo il pomeriggio a spolverare tutti i miei libri? Lei ne trovava sempre uno con la costola ancora polverosa. Sfregavo, lavavo, passavo la cera, lucidavo a specchio il pavimento dell'intero piano? Lei mi indicava, controluce, una ditata nell'angolo in fondo. E poi il rebbo incrostato di una forchetta, un alone sul vetro, una briciola sotto il tavolo. Insomma, per quanto facessi, non la soddisfacevo mai. Dovrei saperlo, dunque che è fatta così: incontentabile e criticona. Ma non ci si abitua mai ad esser sempre, immancabilmente biasimati. La mia vita, in questi anni, lontana da lei e dai suoi giri di ispezione, dai suoi sguardi di disapprovazione e dalle critiche neanche troppo velate, è stata una vacanza. Poter sbagliare, lasciare in disordine, rimandare a domani e magari anche a dopodomani certe noiose incombenze domestiche è stato un lusso impagabile. Mi ha consentito di superare quel senso di inadeguatezza in cui sprofondavo sia per l'età che per i suoi frequenti biasimi e di raggiungere una serenità che rincorrevo a vuoto quando vivevo sotto il suo tetto.
Tornare a vivere vicino a mia madre non sarà facile. Per nessuna delle due.

venerdì 4 settembre 2009

NON CI RESTA CHE ...RIDERE?!?

Berlusconi si è un po' incattivito...
Ha venduto Kakà e ha comprato Feltri.
Ha visto che costa meno però Feltri sulle punizioni è molto più bravo: non ne sbaglia una!
Ecco uno spezzone dell'intervento di R. Benigni alla festa del PD a Genova. Vista con i suoi occhi, raccontata dalle sue battute, la realtà italiana è ci appare ancora più assurda ed inverosimile.

martedì 1 settembre 2009

Oggi un dio non ho...

Non sono credente. Sono nata in una famiglia cattolica praticante e cresciuta in un piccolo paese di campagna raccolto intorno alla chiesa e tenuto insieme da un prete di grande levatura e fascino. La mia infanzia è stata scandita dal ritmo delle festività e ritualità cattoliche, tutta organizzata attorno alle consuetudini ed agli impegni religiosi: il catechismo il sabato pomeriggio, la messa delle undici la domenica mattina, i rosari nel mese mariano, le riunioni del gruppo di ACR, la benedizione delle uova a Pasqua, l'esame di coscienza e la confessione settimanale, la pesca di beneficenza, la processione con i lumini del Corpus Domini e così via. Ricordo che mi stupiva enormemente, da piccola, che per la festa del 25 aprile non si dovesse andare a messa. Come se non fosse pensabile una festa laica, non legata alla ritualità cattolica, dispensata dai consueti obblighi religiosi. A sedici anni, quando ho maturato il coraggio di guardarmi onestamente dentro, oltre il muro della rassicurante consuetudine, oltre la paura di essere disapprovata, ho scoperto che un dio, per me, non c'è. Non ho smesso di credere per rabbia o delusione, perchè ho perso una sorella in fasce e mio padre troppo presto o perchè la malvagità presente nel mondo mal si concilia con l'idea di un dio buono e misericordioso. Nè, del resto, mi hanno fatto mutare opinione certe indebite ingerenze e i tanti atteggiamenti contraddittori e di convenienza da parte della Chiesa, nè taluni diffusi comportamenti vergognosi da parte di alcuni preti. Sarebbe stato come stabilire l'importanza dell'acqua per la vita umana calcolando i danni dell'acqua alta a Venezia. Niente di tutto questo. Semplicemente dentro di me non ho trovato alcuna fede, nè vi ho scorto alcun dio. Eppure non sarei quella che sono senza quei primi insegnamenti religiosi e quelle esperienze. Molte sono, infatti, le cose che debbo al Cristianesimo. Una forte urgenza di giustizia sociale e di rispetto verso la dignità umana. La convinzione che su questa Terra siamo tutti uguali e tutti fratelli e dunque la disponibilità ad accogliere ed aiutare l'altro, anche chi è diverso e lontano da me per cultura, provenienza, opinioni o altro. Un forte senso di responsabilità personale, rispetto alle proprie scelte ed al proprio agire personale e sociale. Il rifiuto della guerra e di ogni forma di violenza, di disprezzo e di intolleranza verso il prossimo; l'impegno individuale e collettivo nella costruzione della pace e di un mondo migliore per tutti. La condanna dell'arricchimento facile e dell'uso spregiudicato del denaro; il bisogno di trasparenza e di onestà nell'agire.
Non c'è bisogno di Dio per credere in tutto questo!

12 novembre 2011: VIVA L'ITALIA LIBERATA!!!

12 novembre 2011: VIVA L'ITALIA LIBERATA!!!
L'Italia è sull'orlo del precipizio, ci aspettano mesi di tagli e manovre "lacrime e sangue", l'opposizione è inesistente e Mario Monti non è il nostro eroe ma almeno...BERLUSCONI SI E' DIMESSO!!!

SE NON ORA QUANDO?

SE NON ORA QUANDO?
FIRENZE, 13 FEBBRAIO 2011.