Ho accolto con una certa insofferenza la proposta da parte di esponenti della Lega di insegnare il dialetto a scuola. Insofferenza, mi accorgo ora, dovuta non tanto alla questione in sè, importante e complessa, quanto all'atteggiamento superficiale e supponente di chi l'ha proposta, ai consueti toni arroganti da coatti di borgata, al fatto che sia piovuta così, non meditata, dopo una sfilza enorme di castronerie estive, sparate a raffica, senza la minima riflessione o approfondimento: dalle gabbie salariali, all'esame di dialetto per gli insegnanti, dalle classi differenziali per alunni stranieri alle ronde padane. Una mole enorme di cazzate urlate a gran voce che rende impossibile, poi, prendere sul serio qualsiasi altra proposta, magari giusta o comunque legittima, arrivi da quella parte. Non nascondo, inoltre, il sospetto che la difesa dei dialetti da parte di quella parte politica non sia a salvaguardia delle differenze e particolarità locali che ci arricchiscono e ci contraddistinguono ma che sia il solito pretesto per discriminare, alzando barriere, segnando confini che servano ad individuare chi è da escludere e chi da tagliare fuori.
Credo invece che in quest'epoca della globalizzazione in cui l'omologazione include ed annulla le differenze e le specificità individuali la questione dei dialetti meritebbe un dibattito serio.
Chi, come me, è cresciuto a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta nella laboriosa ed operaia provincia italiana, ricorda senz'altro quanta fatica ha fatto per imparare a usare l'italiano al posto del dialetto, normalmente impiegato in famiglia. Perchè parlare in dialetto indicava, senz'ombra di dubbio, non tanto la provenienza territoriale quanto l'appartenenza ad una classe, al ceto sociale medio-basso, da cui si sperava di potersi affrancare, grazie alla scuola, a un titolo di studio e alla padronanza di un italiano corretto e privo di inflessioni dialettali. Allora mia madre, che l'italiano lo aveva imparato dalla televisione e sui fotoromanzi di Grand Hotel, mi raccomandava: parla ammodo e un ci di' così che poi ci scrivi a scuola e fai gli errori.
E così il dialetto ce lo siamo dovuti strappare di bocca, rinnegarlo e nasconderlo con vergogna. Ricordo con quanta fatica, noi figli di operai e contadini, cresciuti in campagna, cercavamo di dissimularlo, completando gli infiniti nelle frasi (non più fa', mangia' o di', ma fare, mangiare, dire), tentando, mediante innaturali contorsioni buccali, di pronunciare interamente i dittonghi (non più òmini, véni, fòri ma u-omini, vi-eni, fu-ori). E rammento lo sforzo nel tentare di nascondere certe inflessioni abituali e nel frenare la lingua perchè non scivolasse igniominosamente su alcuni suoni palatali o non si incagliasse, sorda, sui gutturali. Tentavamo, incerti, di imitare e riproporre la parlata spedita e disinvolta dei molti turisti milanesi che affollavano le nostre spiagge d'estate. Come ci pareva più sofisticata e di classe con quelle vocali aperte!
Siamo cresciuti a cavallo tra due mondi; in bilico tra la tradizione, con i suoi usi, i suoi modi di dire e le sue millenarie consuetudini e le esigenze incalzanti della modernità. Anche linguisticamente. Da una parte il dialetto, la lingua degli affetti, delle emozioni, del quotidiano, la lingua materna dei racconti familiari, delle storie dei nonni, dei giochi con gli amici, dello scherzo e dello sberleffo. Il dialetto che ci torna in bocca quando meno ce l'aspettiamo, capace di toccare corde profonde, insostituibile nel rappresentare e descrivere certe emozioni intraducibili in italiano e nel veicolare ricordi dell'infanzia e memorie familiari. Dall'altra l'italiano, la lingua da parlare e scrivere a scuola, la lingua dei libri, dei ceti sociali alti, dei "signori", come avrebbe detto mia nonna. L'italiano, il lasciapassare per approdare a una condizione sociale più prestigiosa, per ottenere una professione importante ed economicamente meglio retribuita, per conquistarsi, insomma, una vita migliore.
Abbiamo sacrificato il dialetto, la lingua della nostra infanzia, alla nostra ascesa sociale. Per questo abbiamo smesso di parlarlo e non lo abbiamo insegnato ai nostri figli. Rinnegato e dimenticato. E per questo morto.
E' possibile farlo rivivere insegnandolo a scuola? Io non credo. Penso che il dialetto, come la religione, vadano insegnati in famiglia, se uno lo ritiene importante. Imporre ai nostri bambini un dialetto che pochi oramai utilizzano, solo perchè lo parlavano i nostri nonni, è inutile e ridicolo. Un dialetto vive quando è parlato in una comunità, la rappresenta e ne veicola i messaggi fondamentali. E se è diffuso, condiviso e dunque vivo non c'è bisogno di insegnarlo a scuola. Eppure mi spiace che una parte così importante della nostra storia vada perduta per sempre. Perchè il dialetto, con quella capacità mirabile di cogliere le sfumature e di interpretare l'intensa e variegata gamma delle emozioni dell'animo umano, rappresenta una ricchezza che riusciamo a riconoscere solo ora, con colpevole ritardo. Cosa si può fare io non lo so. Vogliamo delegare anche questo, interamente, alla scuola? O siamo capaci di trovare altre soluzioni e di impegnarci, singolarmente e collettivamente?
8 commenti:
Anch'io sono per la difesa dei dialetti perchè fanno parte delle nostre radici ed è un delitto perderli. Ma la scuola in tutto questo non centra proprio niente. A scuola si deve imparare l'italiano e impararlo bene, cosa che nel 2009 ancora non si riesce a fare. Vedo gente che frequenta l'università e ancora bisticcia con la grammatica.Una vergogna!
Il dialetto è una seconda lingua. L'idea che mi viene è che potrebbe essere trasmesso verbalmente dai genitori interessati. Penso sia l'unico veicolo possibile.
Che bello questo post Miranda!! Non avevo riflettuto a fondo su questo tema,condivido pienamente!
Mi rifiuto di commentare certe idiozie proposte dalla tanto amata Lega (da me no di sicuro!)
Non nego l'importanza del dialetto come tradizione familiare,come cultura locale,ma da qui ad insegnarlo a scuola come se l'italiano ad un tratto passasse in secondo piano,è assurdo.
Ma poi è mai possibile ke tutto venga demandato alla scuola? ma i genitori xkè ci sono?Dalle discipline,alle educazioni,ai progetti ,alle varie attività pratike ,all'informatica,alla sicurezza,alla convivenza civile,,,,,ma quante cose dobbiamo ancora fare in poke ore,magari mentre corriamo tra una classe all'altra x l'organico ridotto?
Ma i leghisti sono mai entrati in una scuola? credo proprio di no!
Buon anno scolastico.ce la faremo!
Lella
"...Un dialetto vive quando è parlato in una comunità, la rappresenta e ne veicola i messaggi fondamentali..."
Non potevi dare del dialetto cara Miranda, una definizione più vera di questa.
Il dialetto è "casa", è strade conosciute e amiche, è ricordo e sogno che nasce con noi e sempre ci segue.
Il volerlo trasmettere per legge, sarebbe come pensare di poter scaldare qualcuno parlandogli del fuoco.
Come te, temo che le motivazioni della proposta della Lega, abbiano poco di nobile... e come direbbe il mio conterraneo Di Pietro...."poco ci azzeccano"!!
Bando alle tristezze, grazie per questo post..
sono d'accordo con Angelo azzurro
Un post da pubblicare! Bellissimo. Miranda, forza, mandalo ad una rivista di didattica...Non possiamo più aspettare.
Ps: Ma vi baciàvite???
Condivido il post al 100%. Bellissima riflessione
@ Angelo azzurro: pienamente d'accordo con te e con Pupottina!
Lella, noi insegnanti ce la mettiamo sempre tutta mettendo tante di quelle pezze con la nostra professionalità, il nostro impegno, la nostra passione agli strappi e alle mancanze delle varie leggi e regolamenti, per quanto tempo ancora ci riusciremo non so...anche perchè tali mancanze stanno diventando voragini...
Alla faccia del maestro unico o prevalente, ancora non è chiaro cosa vogliono se l'uno o l'altro, i tagli hanno determinato una carenza di organico che porta ad uno spezzettamento orario tale che più insegnanti si debbono alternare a coprire i buchi orari. Incredibile!
Voi come vi siete organizzati?
Samantha, Wilma...e non esagerate dai!
Monteamaro: "è strade conosciute e aniche"...mi piace molto questa definizione, proprio quello che intendevo anch'io. Sempre in sintonia con te!
Rossovermiglio: grazie
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