Un gioco che ho fatto spesso in adolescenza consiste nel pensare a parole positive e nel soffermarsi a godere delle immagini rilassanti, benefiche, piacevoli che tali termini producono internamente. Così la parola "FAMIGLIA" evoca ancora, per esempio, il bagno settimanale del sabato sera, gli schiamazzi con mia sorella, il profumo della cena e lo sceneggiato televisivo a puntate che, tutti insieme, guardavamo in salotto. "PACE" è un arcobaleno colorato, abbracci fraterni, aiuti e sorrisi. "AMORE" l'immagine ingenua ma intatta di due innamorati destinati a stare insieme tutta la vita, felici e appagati.
Allo stesso modo, parole negative rimandano sensazioni sinistre, di freddo e di sgomento. Termini da rifuggire. Come "MORTE", "MALATTIA", "VIOLENZA". L'associazione ad un'immagine precisa è immediata nella nostra coscienza. Come se accendessimo un' interruttore. Talvolta provocano dolore o, quantomeno, un senso di pesantezza allo stomaco, brividi, fastidio, desiderio di starne lontani.
Ho ripensato a questo gioco a proposito del gran parlare, in questo periodo, di "VIOLENZA ALLE DONNE".
Anche in questo caso l'immagine che affiora è precisa: c'è una poveretta, una vittima inerme, che è sottoposta alle angherie, alle percosse, ai soprusi psicologici di un maschio prepotente. Lo schieramento verso colei che subisce non è oggetto di ragionamento, viene automatico, è privo di riflessioni accurate. Un interruttore che si accende, appunto. La donna necessita di protezione. L'uomo di punizione esemplare. Ho pensato a questo meccanismo immediato ed ho sentito quanto piene di pregiudizi siano le nostre percezioni mentali degli eventi. Mi dissocio e condanno qualsiasi manifestazione violenta ma l'esperienza mi ha insegnato quanto sia complessa e meritevole di approfondimento ogni azione dell'essere umano. Quasi mai, nella "VIOLENZA ALLE DONNE", c'è una vittima e un carnefice e stop. Quasi mai, punendo l'uomo violento, si risolve il problema. Perchè queste donne ricercano, paradossalmente, la violenza che rifuggono. In un meccanismo perverso. Spesso il violento è un uomo fragile, insicuro, con scarsa stima di sè, ed è stato, quasi sempre, un bambino non amato, abbandonato e vissuto in un clima di aggressività e relazioni patologiche. La donna-vittima, spesso, ha vissuto un'infanzia analoga ed ha interiorizzato questo modello di amore "malato" che, quanto più è forte, più fa male. Tali situazioni si ritrovano più facilmente associate a perdita del lavoro, basso reddito, sfratto e mancanza di rete parentale o sociale. La normativa prevede di allontanare dal domicilio il marito, amante, partner violento ma, spesso, le compagne li riaccolgono loro stesse in casa, nel tentativo mai abbandonato di cambiarli. Sovente raccolgono le lacrime di pentimento, le suppliche di perdono, sentendosi amate alla follia, credendosi colpevoli di aver provocato la violenza, per il troppo amore che suscitano nel loro uomo. Spesso la relazione disfunzionale provoca morte. E i bambini? Qual'è il destino dei bambini che vivono tali relazioni familiari patologiche? Sono destinati a protrarre il modello di violenza interiorizzato. Inevitabilmente. Saranno loro stessi violenti o sceglieranno partner violenti. In alcune situazioni troveranno un tragico rifugio nella depressione o in altre patologie mentali. Sicuramente il clima violento lascia tracce indelebili. Di trascuratezza, mancata protezione, paura e dolore.
Credo che l'immagine che ci evoca la "VIOLENZA ALLE DONNE", così semplice e netta, con un colpevole e una vittima e niente più, sia solo un meccanismo di difesa che attiviamo perchè l'altra lettura, quella che propongo, sia troppo impegnativa per tutti; obbliga ognuno di noi ad avvertire l'urgenza di pretendere una maggiore equità sociale, un'investimento massiccio sulla famiglia, sulla scuola, sui servizi sociali. L'antitesi, in una parola, del programma del nostro governo.
FRANCESCO MUSANTE
La materia dei libri è costituita dalle sottigliezze della vita.
martedì 6 ottobre 2009
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5 commenti:
L'amore malato spesso ha radici profonde, come giustamente dicevi tu, ma non è comunque mai giustificabile. Il coraggio di ammettere di aver bisogno di scavare nel proprio "vissuto" per riscoprire gli scompensi attuali, che non si vogliono accettare come tali, non è purtroppo alla portata di tutti. Oggi una parte dell'omertà, dettata dalla vergogna o dalla paura, o anche semplicemente dall'assuefazione, è superata, ma l'umanità ha ancora molta strada...
Bentornata Wilma, post sicuramente complesso il tuo, dalle molteplici interpretazioni sul significato e definizione di "violenza alle donne. E' vero, paradossalmente quella familiare è più difficile da affrontare, proprio per le interazioni psichiche che così bene hai descritte. Credo poi che l'ambito sociale di provenienza, sia si importante, ma non sempre decisivo, perchè la violenza avvenga.
Sono troppe le cause che concorrono a fare della donna, la vittima a volte consapevole.
Le risposte che hai auspicato sono tutte corrette, e naturalmente, dai vari governi tutte carenti.
Penso poi che tanti di noi, siano prigionieri di un mondo ritenuto l'unico possibile, e semplicemente non ne ricerchiamo un altro migliore.
Aiutare chi è in difficoltà a percepire che la vita non è un cerchio chiuso, è già un buon inizio per contrastare la violenza.
Ciao Maurizio, felice di scambiare ancora riflessioni con te.
Monteamaro, la sintonia tra noi è sempre molto rassicurante per me.
"...prigionieri di un mondo ritenuto l'unico possibile..."
Ti abbraccio.
"la prima volta che un uomo ti piacchia è colpa sua... la seconda è colpa tua...". l'immagine che evoca la parola violenza sulle donne nella mia mente è forte quasi brutale.. xò credo che questo sia dovuto alla violenza che da sempre il sesso debole è costretto a subire... io penso alle violenze sessuali e lì non vedo nella vittima un carneficie... o come le spose-bambine che in certi luoghi del mondo sono costrette a sposarsi giovanissime con uomini dall'età di padri e nonni...
Animafragile, le tue riflessioni sono sempre stimolanti...Ti abbraccio.
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