FRANCESCO MUSANTE

FRANCESCO MUSANTE
UNA ROSA LA LUNA E LA NOTTE INTERA PER PENSARE A TE

La materia dei libri è costituita dalle sottigliezze della vita.

La materia dei libri è costituita dalle sottigliezze della vita.
I bambini non ricorderanno se la casa era lustra e pulita ma se leggevi loro le favole. Betty Hinman

sabato 10 ottobre 2009

La Corte Costituzionale e il Lodo Alfano

Ci si accorge dell'assurdità e della pericolosità di quello che stiamo vivendo solo se lo analizziamo e lo ripensiamo dall'inizio, formulando i fatti in parole, esemplificazioni, chiarimenti semplici. In una parola: se lo spieghiamo ad un'altro che non sa. E' quanto mi è successo in questi giorni. I miei figli, assorbiti, mio malgrado, da "mamma-tv", mi chiedono, a più riprese:"Cos'è il Lodo Alfano??". Ed io devo rispondere. Mi ci metto d'impegno. Lo giuro. Cerco di dar loro notizie il più possibile oggettive. Non voglio condizionarli, memore dell'imbarazzo provato a suo tempo, quando il Cavaliere era alla prima legislatura e l'attuale Adolescente, allora Piccolino, vedendo le gigantografie del Bel Tomo che tappezzavano la nostra città, gridò:"Mamma, questo qui è quello CATTIVO, vero?". Dunque, dicevo, cerco di spiegare i fatti senza commentare. Ma sono più volte interrotta:"Ma mamma, allora vuol dire che Berlusconi, se non veniva bocciato il lodo, poteva rubare, imbrogliare, fare il delinquente e non veniva punito?", e ancora:"ma come è possibile che discutano tanto su una cosa così normale? Non c'è mica tanto da pensare...". Forse non sono stata tanto brava a spiegare, forse potevo chiamare il Sig.Vespa in aiuto. Ma la faccenda, gira che ti rigira, è quella lì. Semplice e scontata. La questione è nella sintesi semplicistica dell'Adolescente e del Piccolino che, in un simbolismo che non so spiegare, strabaccati sul divano del salotto, con gli occhi vispi ed accesi, mi sono apparsi, inaspettatamente, come gli altri Stati del mondo che guardano all'Italia. E ho provato vergogna.

martedì 6 ottobre 2009

LA VIOLENZA ALLE DONNE

Un gioco che ho fatto spesso in adolescenza consiste nel pensare a parole positive e nel soffermarsi a godere delle immagini rilassanti, benefiche, piacevoli che tali termini producono internamente. Così la parola "FAMIGLIA" evoca ancora, per esempio, il bagno settimanale del sabato sera, gli schiamazzi con mia sorella, il profumo della cena e lo sceneggiato televisivo a puntate che, tutti insieme, guardavamo in salotto. "PACE" è un arcobaleno colorato, abbracci fraterni, aiuti e sorrisi. "AMORE" l'immagine ingenua ma intatta di due innamorati destinati a stare insieme tutta la vita, felici e appagati. Allo stesso modo, parole negative rimandano sensazioni sinistre, di freddo e di sgomento. Termini da rifuggire. Come "MORTE", "MALATTIA", "VIOLENZA". L'associazione ad un'immagine precisa è immediata nella nostra coscienza. Come se accendessimo un' interruttore. Talvolta provocano dolore o, quantomeno, un senso di pesantezza allo stomaco, brividi, fastidio, desiderio di starne lontani. Ho ripensato a questo gioco a proposito del gran parlare, in questo periodo, di "VIOLENZA ALLE DONNE". Anche in questo caso l'immagine che affiora è precisa: c'è una poveretta, una vittima inerme, che è sottoposta alle angherie, alle percosse, ai soprusi psicologici di un maschio prepotente. Lo schieramento verso colei che subisce non è oggetto di ragionamento, viene automatico, è privo di riflessioni accurate. Un interruttore che si accende, appunto. La donna necessita di protezione. L'uomo di punizione esemplare. Ho pensato a questo meccanismo immediato ed ho sentito quanto piene di pregiudizi siano le nostre percezioni mentali degli eventi. Mi dissocio e condanno qualsiasi manifestazione violenta ma l'esperienza mi ha insegnato quanto sia complessa e meritevole di approfondimento ogni azione dell'essere umano. Quasi mai, nella "VIOLENZA ALLE DONNE", c'è una vittima e un carnefice e stop. Quasi mai, punendo l'uomo violento, si risolve il problema. Perchè queste donne ricercano, paradossalmente, la violenza che rifuggono. In un meccanismo perverso. Spesso il violento è un uomo fragile, insicuro, con scarsa stima di sè, ed è stato, quasi sempre, un bambino non amato, abbandonato e vissuto in un clima di aggressività e relazioni patologiche. La donna-vittima, spesso, ha vissuto un'infanzia analoga ed ha interiorizzato questo modello di amore "malato" che, quanto più è forte, più fa male. Tali situazioni si ritrovano più facilmente associate a perdita del lavoro, basso reddito, sfratto e mancanza di rete parentale o sociale. La normativa prevede di allontanare dal domicilio il marito, amante, partner violento ma, spesso, le compagne li riaccolgono loro stesse in casa, nel tentativo mai abbandonato di cambiarli. Sovente raccolgono le lacrime di pentimento, le suppliche di perdono, sentendosi amate alla follia, credendosi colpevoli di aver provocato la violenza, per il troppo amore che suscitano nel loro uomo. Spesso la relazione disfunzionale provoca morte. E i bambini? Qual'è il destino dei bambini che vivono tali relazioni familiari patologiche? Sono destinati a protrarre il modello di violenza interiorizzato. Inevitabilmente. Saranno loro stessi violenti o sceglieranno partner violenti. In alcune situazioni troveranno un tragico rifugio nella depressione o in altre patologie mentali. Sicuramente il clima violento lascia tracce indelebili. Di trascuratezza, mancata protezione, paura e dolore. Credo che l'immagine che ci evoca la "VIOLENZA ALLE DONNE", così semplice e netta, con un colpevole e una vittima e niente più, sia solo un meccanismo di difesa che attiviamo perchè l'altra lettura, quella che propongo, sia troppo impegnativa per tutti; obbliga ognuno di noi ad avvertire l'urgenza di pretendere una maggiore equità sociale, un'investimento massiccio sulla famiglia, sulla scuola, sui servizi sociali. L'antitesi, in una parola, del programma del nostro governo.

sabato 3 ottobre 2009

GRAZIE!

Sto attraversando un momento difficile. Magari anche ricco di soddisfazione, di progetti che giungono a compimento, di arrivi a lungo attesi. Ma soprattutto di grandissima fatica. Dopo mesi che ne parlo, dopo ore passate nell'ufficio del geometra, giorni ad attendere risposte dell'ufficio urbanistica, dopo varie "strane" esperienze con muratori troppo intraprendenti, idraulici menefreghisti, elettricisti non raggiungibili, FINALMENTE siamo pronti a traslocare . Appuntamento con la ditta di addetti ai traslochi per giovedì 1 ottobre.
Così mercoledì, eh sì proprio il giorno del mio quarantesimo compleanno!, devo assolutamente finire di imballare le ultime cose. Ecco, quelle che sembravano poche cosette risultano essere una marea di oggetti difficilmente catalogabili. Dove la metto la saliera? E il pacco aperto del riso? Come la sistemo la scultura di creta di mio figlio? E le bollette appena arrivate e ancora da pagare? Finirò per perderle... Insomma trascorro così il mio peggior compleanno, fino a notte fonda. Sono sfinita, crollo a letto ma per poco perchè alle sei suona, pronta, la sveglia, per le ultime "cosuccie". Alle otto tutto è pronto. Bene! Stasera potremo dormire nella nuova casa. I traslocatori però tardano...come mai? Pronto? Sì... certo... ricordo... ma.. veramente, eravamo d'accordo per domani... ARGHHHHH!!!! Insomma tutto da rifare...e porta pure male di venerdì...
Facile immaginare la stanchezza, lo sfinimento di questi giorni. Certo anche l'emozione, fortissima, nel vedere montata la mia cucina, proprio così come la volevo. Più bella forse, di quanto immaginavo. Oggi sono felice dunque ma distrutta. Mi aggiro, smarrita in mezzo alle scatole. Credevo di ricordare tutto lucidamente, di avere ben presente ogni oggetto nel relativo scatolone. Invece, vuoto di memoria. Non riesco a trovare niente. Sono sgomenta. Spaventata di fronte alla mole enorme, indescrivibile di lavoro che mi aspetta. Vorrei persino mettermi a piangere lì, sul letto ingombro di grucce, pile di maglioni, scatole di scarpe. Sì vorrei piangere forte a calde lacrime, come da bambina quando non vedevo via d'uscita ai miei problemi. Ma...ecco che sento un clacson. Mi affaccio alla finestra. Sono loro! Le mie amiche! Samantha, Wilma e pure il piccolino con in mano una torta, una busta con bicchieri e piatti di plastica (lo sapevano, mi sa, che non li avrei trovati tra le mie cose) e il regalo per me. Il primo regalo in questi giorni di trambusto. L'unica torta. E così festeggiamo, tra scatoloni polverosi e mobili ingombri. E il magone scompare. E tutto mi appare più facile. Non più IMPOSSIBILE. Grazie amiche!
E grazie a tutti voi degli auguri. Li leggo ora e sono commossa. Il regalo? Una splendida serigrafia di Francesco Musante, con cornice blu. Non potevo desiderare regalo più bello!

martedì 29 settembre 2009

Dedicato a Miranda..

Questa volta ci siamo davvero... Domani è un giorno speciale.. La prima delle tre a varcare la soglia dei fantastici... 40!!! A Miranda .. dai banchi di scuola, il tragitto in pulman, Dante e la Divina Commedia, il latino, le lettere, i diari, le poesie, il tailleur, le uscite allo "stacco", il biondino,"ma vi baciavite?" le calze a rete di Madonna, la discoteca di sera, i tacchi, il quaderno delle vignette, il viaggio a Populonia, il fine settimana a Pieve Pelago, le risate, le lacrime, le lauree, le spose, i testimoni, i nostri bimbi e l'allattamento condiviso, Roma, la scuola dietro la cattedra, ed infine..la CASA!! BUON COMPLEANNO MIRANDA!!! Con tutto l'affetto..le tue Amiche. Samantha&Wilma

lunedì 21 settembre 2009

IL SIGNIFICATO DELLE COSE...

Oggi all'Adolescente hanno rubato la bici nuova, ricevuta solo due mesi fa. Realizzare il fatto, dargli un nome, non è stato facile. C'è stata l'incertezza, lo stupore, l'incredulità, poi la presa di coscienza, il senso di impotenza, la rabbia. Gli oggetti, si sa, contengono aspetti che vanno oltre la materialità. Racchiudono sogni, emozioni, ricordi. Conferiscono uno status. L'Adolescente, anarchico e desideroso di libertà, in sella alla sua bici intendeva dichiarare al mondo di essere finalmente autonomo, libero di muoversi, padrone del suo tempo, svincolato da noi genitori. Allo stesso tempo la scelta della bici come mezzo di trasporto rappresentava per lui la ribellione al conformismo della massa dei coetanei che, al compimento dei quattordici anni, aspira, sposmodica, allo scooter. La bici era la sua rivoluzione. La dimostrazione di una diversità speciale, pensata, ostentata. Il furto è stato qualcosa di più dell'essere privato di un oggetto. Mi ha confidato, splendido nella sua ingenuità, di aver preso coscienza, per la prima volta, della delinquenza, di un mondo sotteraneo che agisce contro gli altri, della devianza e della miseria umana.
Essere privato di un oggetto ha arricchito lui di riflessioni, conoscenze, esperienze, ha riportato me a riflettere sul significato delle "cose" che ci circondano, al di là di ogni considerazione anti-materialista. Ho ripensato al comò dei primi del novecento che, restaurato sapientemente, fa bella mostra di sè nella nostra camera da letto: è appartenuto ai nonni di Fred, regalo di nozze dei loro genitori. Quante volte il profumo che sprigiona il legno mi ha fatto ritrovare la semplicità di gesti lontani: ho visto la nonna i primi giorni del matrimonio, a sistemare la biancheria o a sceglierla, civettuola, per mostrarsi al marito. Ho visto lo stipendio del nonno nascosto nell'ultimo cassetto, in fondo, come si usava all'epoca. Chissà se quel comò è stato scelto dagli sposi o è stato motivo di litigio tra loro. Chissà se hanno mai pensato che sarebbe sopravvisuto a loro. Come l'assurdo portachiavi di mio padre, il suo profumo e i suoi svariati pettinini. Come la casa che lui ha costruito, circondata da un muro di cinta terminato mentre la malattia gli divorava la colonna vertebrale. Quel muro non contiene mattoni e calce ma tenacia e forza, speranza e orgoglio. E' un invito a non arrendersi, a non lasciarsi sopraffare. Non è solo materia. E' capacità di evocare, di incitare, di dare conforto. Un meraviglioso esempio per i miei figli.

sabato 19 settembre 2009

DEDICATO A WILMA..

ALLA NOSTRA SPLENDIDA AMICA: ALLA SOGLIA DEI FATIDICI 40..PIU' STREPITOSA CHE MAI.. BUON COMPLEANNO!!! Con affetto, le tue meravigliose amiche, Samantha e Miranda. PS: Samantha-in vena-di-super-aggettivi!! ; )

martedì 15 settembre 2009

Maccaroni...io vi distruggo!

Ho accolto con una certa insofferenza la proposta da parte di esponenti della Lega di insegnare il dialetto a scuola. Insofferenza, mi accorgo ora, dovuta non tanto alla questione in sè, importante e complessa, quanto all'atteggiamento superficiale e supponente di chi l'ha proposta, ai consueti toni arroganti da coatti di borgata, al fatto che sia piovuta così, non meditata, dopo una sfilza enorme di castronerie estive, sparate a raffica, senza la minima riflessione o approfondimento: dalle gabbie salariali, all'esame di dialetto per gli insegnanti, dalle classi differenziali per alunni stranieri alle ronde padane. Una mole enorme di cazzate urlate a gran voce che rende impossibile, poi, prendere sul serio qualsiasi altra proposta, magari giusta o comunque legittima, arrivi da quella parte. Non nascondo, inoltre, il sospetto che la difesa dei dialetti da parte di quella parte politica non sia a salvaguardia delle differenze e particolarità locali che ci arricchiscono e ci contraddistinguono ma che sia il solito pretesto per discriminare, alzando barriere, segnando confini che servano ad individuare chi è da escludere e chi da tagliare fuori.
Credo invece che in quest'epoca della globalizzazione in cui l'omologazione include ed annulla le differenze e le specificità individuali la questione dei dialetti meritebbe un dibattito serio.
Chi, come me, è cresciuto a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta nella laboriosa ed operaia provincia italiana, ricorda senz'altro quanta fatica ha fatto per imparare a usare l'italiano al posto del dialetto, normalmente impiegato in famiglia. Perchè parlare in dialetto indicava, senz'ombra di dubbio, non tanto la provenienza territoriale quanto l'appartenenza ad una classe, al ceto sociale medio-basso, da cui si sperava di potersi affrancare, grazie alla scuola, a un titolo di studio e alla padronanza di un italiano corretto e privo di inflessioni dialettali. Allora mia madre, che l'italiano lo aveva imparato dalla televisione e sui fotoromanzi di Grand Hotel, mi raccomandava: parla ammodo e un ci di' così che poi ci scrivi a scuola e fai gli errori.
E così il dialetto ce lo siamo dovuti strappare di bocca, rinnegarlo e nasconderlo con vergogna. Ricordo con quanta fatica, noi figli di operai e contadini, cresciuti in campagna, cercavamo di dissimularlo, completando gli infiniti nelle frasi (non più fa', mangia' o di', ma fare, mangiare, dire), tentando, mediante innaturali contorsioni buccali, di pronunciare interamente i dittonghi (non più òmini, véni, fòri ma u-omini, vi-eni, fu-ori). E rammento lo sforzo nel tentare di nascondere certe inflessioni abituali e nel frenare la lingua perchè non scivolasse igniominosamente su alcuni suoni palatali o non si incagliasse, sorda, sui gutturali. Tentavamo, incerti, di imitare e riproporre la parlata spedita e disinvolta dei molti turisti milanesi che affollavano le nostre spiagge d'estate. Come ci pareva più sofisticata e di classe con quelle vocali aperte!
Siamo cresciuti a cavallo tra due mondi; in bilico tra la tradizione, con i suoi usi, i suoi modi di dire e le sue millenarie consuetudini e le esigenze incalzanti della modernità. Anche linguisticamente. Da una parte il dialetto, la lingua degli affetti, delle emozioni, del quotidiano, la lingua materna dei racconti familiari, delle storie dei nonni, dei giochi con gli amici, dello scherzo e dello sberleffo. Il dialetto che ci torna in bocca quando meno ce l'aspettiamo, capace di toccare corde profonde, insostituibile nel rappresentare e descrivere certe emozioni intraducibili in italiano e nel veicolare ricordi dell'infanzia e memorie familiari. Dall'altra l'italiano, la lingua da parlare e scrivere a scuola, la lingua dei libri, dei ceti sociali alti, dei "signori", come avrebbe detto mia nonna. L'italiano, il lasciapassare per approdare a una condizione sociale più prestigiosa, per ottenere una professione importante ed economicamente meglio retribuita, per conquistarsi, insomma, una vita migliore.
Abbiamo sacrificato il dialetto, la lingua della nostra infanzia, alla nostra ascesa sociale. Per questo abbiamo smesso di parlarlo e non lo abbiamo insegnato ai nostri figli. Rinnegato e dimenticato. E per questo morto.
E' possibile farlo rivivere insegnandolo a scuola? Io non credo. Penso che il dialetto, come la religione, vadano insegnati in famiglia, se uno lo ritiene importante. Imporre ai nostri bambini un dialetto che pochi oramai utilizzano, solo perchè lo parlavano i nostri nonni, è inutile e ridicolo. Un dialetto vive quando è parlato in una comunità, la rappresenta e ne veicola i messaggi fondamentali. E se è diffuso, condiviso e dunque vivo non c'è bisogno di insegnarlo a scuola. Eppure mi spiace che una parte così importante della nostra storia vada perduta per sempre. Perchè il dialetto, con quella capacità mirabile di cogliere le sfumature e di interpretare l'intensa e variegata gamma delle emozioni dell'animo umano, rappresenta una ricchezza che riusciamo a riconoscere solo ora, con colpevole ritardo. Cosa si può fare io non lo so. Vogliamo delegare anche questo, interamente, alla scuola? O siamo capaci di trovare altre soluzioni e di impegnarci, singolarmente e collettivamente?

lunedì 14 settembre 2009

Ancora sulle magnifiche giornate al mare...

Non lo volevo raccontare...Ma poi, la scuola che è iniziata, il temporale di stanotte, la pioggia torrenziale che ci ha tenuto compagnia tutto il giorno e la temperatura così fresca che il pensiero che solo ieri siamo stati in spiaggia fino al tramonto già sembra utopia, mi hanno convinto a raccontare tutta la scena e godere di queste splendide leggerezze che riempiono la nostra vita. Dunque, cominciamo dall'inizio: Era una giornata di sole pieno, fine agosto inizio settembre. Stavo facendo la mia consueta passeggiata giornaliera, a circa mezzo metro dalla riva. L'acqua del mare era ad altezza coscia, per la gioia di Marzia (impavida dietologa che battezza le azioni della vita con due soli verbi:"questo drena", "quello gonfia"). Mi facevano compagnia mia cugina e Animafragile; chiacchieravamo piacevolmente. A dirla tutta IO ero presa da un racconto che, nell'illustrarlo, mi impegnava entrambe le mani in un gesticolare tipicamente italiano. Ad un certo punto un ragazzo, poco distante dalla riva, comincia a chiamare:"Wilma!...Wilma!". Non lo sento, proseguo nel mio pseudo-monologo. Animafragile mi avverte:"Credo che ti stiano chiamando!". Mi giro un attimo, guardo il ragazzo e, frettolosa, sentenzio:"Non dice a me!" e proseguo imperterrita. Ma il ragazzo non molla:"Sto dicendo a te...Non mi saluti neppure??". Alzo gli occhiali da sole, guardo dritta il Tipo, sembro l'acida Signorina Rottenmaier:"Stai sbagliando persona, non ci conosciamo...". Ma lui è tenace:"Non ci conosciamo? Dopo la notte di passione che abbiamo trascorso insieme????". Animafragile racconta che, a quel punto, son letteralmente schizzata fuori dall'acqua e mi sono catapultata verso il mio sedicente amante passionale. L'ho messo finalmente a fuoco: era il sosia di Luca Ward.
Voce profonda che agita lo stomaco, che intende entrarti dentro e scombussolarti un pò. Tatuaggio, pelle scura, capello nero lungo sulle spalle, sorriso audace. A quel punto ero visibilmente in imbarazzo e le parole non uscivano, finchè lui, sincero, ha ammesso:"Non sei Wilma! Scusa...Ma anche tu ti chiami così?". Poi ha spiegato:"Ti ho scambiato per una ragazza che si chiama proprio come te. L'ho conosciuta mentre passeggiavo lungo il fiume. Vi assomigliate moltissimo...Sono stato tratto in inganno perchè anche tu, come lei, passeggi ogni giorno. Mi dispiaceva vedere che non mi salutavi neppure dopo le lunghe e piacevoli chiacchierate che abbiamo fatto...". Ho sorriso, gli ho detto di non preoccuparsi, che non era affatto un problema, l'ho salutato e ho fatto per proseguire la passeggiata. Mentre mi giravo mi ha richiamato:"Senti...Scusa per la stupida frase di poco fa. In realtà quella Wilma del fiume non l'ho mai neppure vista in costume...", "Comunque è stato un piacere...". Ma ero già lontana, acida e impegnata...Nei due giorni successivi il mio Super-Io non mi ha neppure mandato in spiaggia, implacabile mi ha inchiodato sui libri, mi ha richiamato al rigore della preparazione dell'esame...THE END!

giovedì 10 settembre 2009

Da più di tre settimane aspetto trepidamente l'idraulico. Parole e promesse vane le sue, forse abituali per lui nel trattare con i clienti: vengo lunedì...non ce l'ho fatta verrò la prossima settimana, scusami ho avuto un lavoro urgente ma sarò lì domani mattina....e via così. Lo aspetto con particolare ansia perchè senza il suo intervento non potrò trasferirmi. Speravo infatti di approfittare degli ultimi giorni di ferie per il trasloco. Lo speravo, inutilmente. Le ferie sono finite e l'idraulico non si è fatto vivo. Intanto scatoloni semipieni, borse, casse chiuse, giacciono un po' ovunque, impedendo il passaggio, alcune addirittura son già nel bagagliaio dell'auto, in attesa di esser portate a casa.
Oggi finalmente una bella sorpresa: da lontano, mentre sto andando verso casa, vedo sul mio tetto l'idraulico col suo portentoso apprendista, intenti a sistemare i pannelli solari. Mi avvicino, saluto e chiedo come va. L'idraulico mi informa che non va affatto bene. Oddio, penso subito, vuoi vedere che qualcosa nei pannelli solari non funziona a dovere? Infatti, continua lui dal tetto, gli si è rotta l'auto e quindi è a piedi. Per questo è potuto venire solamente ora. Mi spiace, replico solidale io, e chiedo se il lavoro sarà lungo. Lungo? Peggio! perchè si è fuso il motore e quindi l'auto è da tirare via. Per rifare il motore ci vogliono troppi soldi, e pensare che aveva solamente quattro anni, praticamente nuova... E continua così ad elencarmi i problemi della sua auto, parole inutili che rotolano dal tetto fino a me, indifferente, che in fondo è solo la seconda volta che lo vedo 'sto idraulico. Finita la tiritera, lo saluto, amabile, senza riuscire a sapere quanto ci metterà a terminare i lavori nè quindi quando potrò traslocare.
Andando via sorrido tra me e me ripensando al dialogo tra sordi che abbiamo avuto: io preoccupata solo per il mio trasloco, lui per la sua auto.
Ma allora è proprio vero? Siamo isole, ciascuno chiuso nel proprio mondo, assorto dai propri problemi, incapace di vedere e comprendere le esigenze altrui. Gli altri esistono solo in funzione di noi stessi.

mercoledì 9 settembre 2009

Sul dissenso...

Ognuno di noi, nella propria esistenza, partecipa a più istituzioni sociali, fa parte di una o più organizzazioni. Da queste emerge, viene modificata, si struttura, la nostra identità. Per poter sopravvivere abbiamo bisogno di adattarci ad ognuna di queste realtà. Sia in ambito lavorativo che in famiglia, persino con gli amici. Weich sostiene che, in ogni situazione, il soggetto tende a riconoscersi in relazione a ciò che vive, ai processi di interazione che stabilisce. Una stessa persona assume caratteri diversi in circostanze differenti: l'identità assunta nel posto di lavoro, per esempio, può differire da quella assunta nelle relazioni familiari. Ma ciò che commuove e sconcerta e allarga il cuore e ci fa sentire parte dell'oceano è considerare che, in questo percorso di adattamento, l'uomo preserva un sè che, prepotente, tende ad emergere. E' chiaro che, senza qualcuno a cui appartenere, non esiste sicurezza per il sè e, tuttavia, un inglobamento totale, un coinvolgimento assoluto con un'altra "unità sociale", implica una riduzione del sè. E' quindi lottando, opponendosi, facendo resistenza contro qualcosa, evitando un adattamento totale, che il nostro sè può emergere. Una rivolta interna è a volte essenziale per la salute psicologica, e può creare una forma particolare di felicità. Le tecniche che l'uomo ha utilizzato per preservare le riserve del sè dalle morse delle istituzioni sono molteplici, variegate, strategiche e fantasiose. Pensate a Robert Stroud, condannato all'ergastolo e all'isolamento nella prigione di Alcatraz. Quest'uomo, un giorno, in una situazione di abbruttimento totale, comincia a prendersi cura, per caso, di un uccellino. La sua passione, la sua dedizione, sono tali da trasformarlo in un famoso ornitologo, in grado di scrivere testi autorevoli sul comportamento degli uccelli. Non è assolutamente commovente e coinvolgente? Non ci obbliga ad alzarci dalle nostre comode poltrone? La voce del dissenso è dentro di noi, aspetta solo di poter trovare il coraggio per esprimersi. Non parlo di gesti eroici od eclatanti, parlo di espressione del sè: di quello più interno, fantasioso, passionale e unico, in grado di espandersi illimitato nei nostri pensieri, il solo capace di farci esplodere di gioia, di farci riscoprire il significato del nostro essere qua. Parlo anche, più semplicemente, di gesti, momenti, pensieri, rubati ad una qualsiasi delle istituzioni di cui facciamo parte: la nostra dose di libertà personale. Assolutamente senza prezzo.

12 novembre 2011: VIVA L'ITALIA LIBERATA!!!

12 novembre 2011: VIVA L'ITALIA LIBERATA!!!
L'Italia è sull'orlo del precipizio, ci aspettano mesi di tagli e manovre "lacrime e sangue", l'opposizione è inesistente e Mario Monti non è il nostro eroe ma almeno...BERLUSCONI SI E' DIMESSO!!!

SE NON ORA QUANDO?

SE NON ORA QUANDO?
FIRENZE, 13 FEBBRAIO 2011.