I miei suoceri abitano in una villetta costruita alla fine degli anni '60 in una zona in cui all'epoca c'erano solo campi ed acquitrini pieni di ranocchi. Oggi è una bella zona tranquilla, silenziosa e a due passi dal mare. I campi sono spariti sostituiti da varie ville e villette con giardino. La maggior parte di esse ha muretti, cancelli alti e fitte siepi di alloro o gelsomino che delimitano il confine ed impediscono di vedere dentro. Non quella di mio suocero perchè mi ha spiegato: "Oggi tutti si trincerano dietro muri e siepi per paura che gli altri possano vedere cosa fanno, possano spiarli ma io mi sento più al sicuro così. Infatti, se mi succedesse qualcosa, se avessi bisogno di aiuto, se mi sentissi male o se qualche maleintenzionato entrasse in casa mia, chi se ne accorgerebbe? Chi sentirebbe la mia richiesta di aiuto?"
Queste parole di mio suocero mi hanno fatto riflettere. Costruiamo muri sempre più alti e trincee sempre più spesse per sentirci più sicuri, al riparo da occhi estranei ed invece recidendo ogni legame, mantenedo le distanze con vicini per i quali continuiamo ad essere degli estranei finiamo per isolarci, e questo isolamento ci rende più fragili, più indifesi e rende le nostre case meno sicure.
Penso al mio paese d'origine, dove gli abitanti si conoscono tutti tra di loro, ed abitano in casette attaccate l'una all'altra e dove, per questo, nessun ladro è mai riuscito a rubare niente perchè c'è stato sempre l'intervento di qualche vicino "impiccione" e insonne che, notando strani ed inconsueti movimenti o sentendo strani rumori ha dato l'allarme. Non i muri ci proteggono, non le serrature, i chiavacci, gli allarmi, le inferriate, nè tantomeno le ronde o i soldati. Ma la rete! Cioè tutti quei legami sociali che ci uniscono gli uni agli altri, ci fanno essere parte di un tessuto sociale in cui ciascuno si interessa agli altri, ed in tal modo se ne prende cura. L'indifferenza ci rende soli e vulnerabili. Bisogna tornare a costruire una rete sociale forte e smetterla di pensare che interessarsi agli altri significhi semplicemente "impicciarsi". FRANCESCO MUSANTE
La materia dei libri è costituita dalle sottigliezze della vita.
lunedì 15 giugno 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
7 commenti:
saggia riflessione Miranda, saggia! Io insisto con le mie bambine, a prendere parte alle attività proposte dal mio paese, per intessere trame sempre più larghe, per formare una rete. La rete della quale parli.
A tuo suocero che è uomo di buon cuore, porta il mio saluto, un saluto pieno di stima, di pace, e pieno di sorrisi.
Condivido quello che scrivi e a casa nostra vige la regola che chiunque può sostare a riprendere fiato, senza mostrare carta d'identità e fedina penale.
Sottoscrivo tutto.
E grazie, non sono cose scontate quelle che scrivi, quanto era vero ieri oggi pare distante ed impossibile...
Be' diciamo che la vita da paesino di provincia dove sanno tutto di tutti e dove se una donna non accompagnata entra nella casa di un uomo fa sparlare tutti (alle spalle) non è proprio l'idea di società che ho in mente.
Però sono d'accordo sul fatto che questa società individualista ha eretto muri.
A Padova hanno costruito un muro per dividere un quartiere dagli immigrati.
Sicuramente non aiutano la paura e i luoghi comuni sui "diversi": gay, immigrati, rom (che non si chiamano zingari) prostitute, barboni.
Uno degli obiettivi prioritari del mio lavoro è creare LA RETE!
Concordo pienamente:laddove c'è rete sociale son certa che si registri una migliore qualità della vita!
Bravo suocero-nonno! Riflessione davvero interessante.
Una provocazione: la rete la creiamo solo con chi è uguale a noi? I neri, i diversi li teniamo fuori? Perchè altrimenti la sicurezza è minata, il territorio in pericolo, la tragedia imminente...
@ Minu: brava! io non ne sono molto capace, a causa del mio carattere così introverso e riservato che tende a chiudersi a riccio (per la serie: predico bene ma razzolo...) però ci sto provando ad uscire dal guscio per dare a mio figlio quelle opportuniotà di "fare e sentirsi gruppo" che ho avuto io.
Luz, saluti recapitati ad un suocero un po' sconcertato che non sa niente di internet e di blog. Le tue parole mi hanno richiamato alla mente La canzone del pescatore di De Andrè..."e versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame...". Dare senza chiedere niente, senza contropartita, solo per rispondere ad un bisogno. E' questo il miglior modo per fare di questo mondo un posto migliore.
Amatamari, sì i tempi sono molto cambiati ed io ancora me ne stupisco...
Matteo benvenuto!
So che vivere in un paese di provincia non è facile perchè ci sono cresciuta e sto per tornarci. Talvolta la rete è in effetti un po' troppo stretta, quasi soffocante.
Sarebbe bello trovare una giusta via di mezzo tra curarsi di tutti coloro che ci circondano senza giudicare, criticare, condannare i comportamenti altrui.
Quello che dici di Padova è terribile eppure altamente simbolico...lo specchio di ciò che ci sta capitando...
Wilma, sai già come la penso. Sono SEMPRE più persuasa che l'unico modo per garantire la SICUREZZA delle nostre città sia una politica effettiva e concreta di integrazione piuttosto che una politica di isolamento basata sulle espulsioni e sui respingimenti che poco funziona. Si può arginare un oceano con un fazzoletto?
Posta un commento